BARBARA GARLASCHELLI:

Barbara Garlaschelli è nata a Milano nel 1965, dove vive e lavora. Laureata in Lettere Moderne all’Università Statale di Milano.

Da sempre lavora con la scrittura: è stata sceneggiatrice di fumetti, ha scritto monologhi teatrali, articoli e saggi.

Il suo esordio in narrativa è del 1993 con la raccolta di racconti "Storie di bambini, donne e assassini", in edizione telematica.

Ha fatto il suo ingresso in editoria "su carta" con: O ridere o morire (Marcos y Marcos, 1995; Todaro editore, 2005, nuova edizione), cui sono seguiti: Ladri e barattoli (Marcos y Marcos, 1996), Nemiche (Frassinelli, 1998), Il pelago nell'uovo (Mobydick, 2000), Sirena. Mezzo pesante in movimento (Mobydick, 2001 premio “Fenice Europa 2002 sezione “Claudia Malizia”; ed. Salani, 2004, nuova edizione. Premio Desenzano Libro Giovani 2006), Alice nell'ombra (Frassinelli, 2002), Sorelle (Frassinelli, 2004, premio Scerbanenco 2004); L'una nell'altra (Dario Flaccovio, 2006); FramMenti (Mobydick, 2006). Collabora con vari mensili e settimanali. Suoi racconti sono presenti in molte antologie. E’ tradotta in Francia da Gallimard Jeunesse e Rivages Noir, in Spagna da Roca Editorial , in Portogallo, in Serbia, in Messico.
Ha collaborato con Lifegate radio alla trasmissione La stanza dello scirocco. Nel 2005 è stata ospite del Festivaletteratura di Mantova.









L'una nell'altra
Flaccovio Editore






Scrivere e Leggere:
la dimostrazione dell'essere libera e viva













Sirena. Mezzo pesante in movimento
Salani Editore



LUCI



Un lunga fila di luci.
Luci che bucano la notte.
Nero sopra e nero sotto, e là in fondo, luci.
Da questa collina vedo tutte quelle luci, e nient'altro.
Non indovino il profilo della costa, ma so che è là.
Qua la collina, là il mondo.
Sento l'odore del mare misto a quello dell'erba.
Sento il silenzio rompersi ogni tanto.
Una macchina lontana, delle voci, il rumore sommesso delle onde.
La mia vita qui sono questi odori e questi rumori.
Sono quelle luci in lontananza, sogni sospesi nel buio, francobolli su di una cartolina che non spedirò mai.
Perdo la nitidezza dei pensieri e mi coagulo attorno a un grumo di ricordi, qualcosa di frastagliato e dolente, qualcosa che cola dalle mani e che assomiglia tanto - troppo- a sangue versato.
Io sono qui, su questa collina e ho una città alle spalle, grigia di case basse e strade sconnesse, una città di cui conosco ogni cosa per averci corso in mezzo, per aver sperato che gli aerei la bombardassero, la riducessero in briciole e mi liberassero.
Dalla colpa di odiarla.
Dal peso di dover restare.
Sono qui, su questa collina, ho una città alle spalle e un'illusione di luci davanti.



La bambina gira piano la testa. Gli occhi vagano sul marciapiede intasato dalle macerie, scivolano su una scarpa, si soffermano sull'ombra proiettata da un'insegna mezzo staccata, ritornano sull'uomo. E si fermano.
Il cuore le sembra un giocattolo caricato a molla che saltella impazzito.
E ha freddo. Freddo nonostante il sole nel cielo limpido.
Non dovrebbe essere lì, mamma glielo aveva detto. Ma era così stanca di restare chiusa in quello stanzone con tutta quella gente che parlava, piangeva, litigava. Tutta quella gente ha un cattivo odore e suo fratello non perde occasione per perseguitarla. Solo perché è più grande e più forte.
Ha guardato attraverso una delle finestre rotte dello stanzone e ha visto il sole. Il cielo non le è mai sembrato così azzurro.
Nessuno l'ha vista allontanarsi, è o non è piccola piccola?

Ma adesso ha paura.
I fantasmi, i mostri, gli uomini neri, le streghe sono buffonate, sono niente. Sono qualcosa che puoi chiudere nell'armadio o dentro la testa. Sono qualcosa che puoi contenere. Vorrebbe chiudersi lei in un armadio. Potendo si chiuderebbe anche dentro la propria testa, in compagnia di tutti i mostri e i fantasmi dell'universo. E' piccola piccola, un angolo dove nascondersi lo troverebbe. E' piccole ossa e poca carne, sua madre l'ha sempre chiamata briciola, non sarebbe difficile scovare un angolino tutto per sé.
Potendo muoversi.
Ma se una non può muoversi, per quanto piccola sia?

L'uomo fissa la bambina. Ne aveva una della stessa età, più o meno. La sua non era bionda e forse non così magra, con quelle ginocchia spigolose che spuntano dalla gonna rossa, però anche sua figlia aveva quel modo particolare di guardarsi intorno. Sempre circospetta.
Mia figlia mia figlia mia figlia.
Non c'è più.
Spazzata via come carta straccia.
L'uomo sposta il peso da una gamba all'altra. I muscoli delle spalle sono contratti. Sente il sole battere sul collo e il sudore scorrergli lungo le tempie.
I suoi occhi si spostano impercettibilmente e si fissano su una catasta di mobili. Dal mucchio spunta un pezzo di divano ricoperto da una stoffa a fiori gialli. Gli occhi dell'uomo si spostano rapidi. Troppi particolari gli ricordano un'altra casa, un'altra città, un altro cielo.
Distoglie lo sguardo dalla catasta e ritorna a fissare la bambina.


Ho visto occhi mani gambe facce pance e sederi partire, imbarcarsi su gusci di noce, su scatole di latta, su fogli di pergamena e andarsene, là, verso le luci.
Li ho guardati uno a uno, anche quelli che non volevano farsi vedere, quelli che partivano di notte, in tutta fretta, da soli, come ladri, come lupi solitari. O quelli che se ne'andavano a gruppi, a famiglie, grappoli di figli appesi addosso, valige borse sacchi.
Bambini vecchi ragazzi uomini donne.
Li ho guardati tutti, uno a uno.
Li ho guardati per vedere se lo avevano scritto negli occhi cosa cercavano.
Ho visto solo sguardi spaventati e tristi.
Forse è perché dovevano attraversare il mare.
Non ho paura del mare, io. Ma non parto. No, io resto su questa collina e osservo il serpente di luci.
Alzo gli occhi, e vedo altre luci.
Stelle e luci che lampeggiano.
Aerei.


C'è odore di bruciato e di plastica fusa e qualcos'altro, qualcosa che s'insinua nei buchi del naso e scende nello stomaco e poi lo stringe. Un odore cattivo, che fa paura.
La bambina muove un piede, appena appena, giusto per sentire il cemento grattare sotto la suola bucata. Le piacciono le sue scarpe e le dispiace che siano un po' rotte. Di tanto in tanto i sassolini le pungono la pianta dei piedi e deve fermarsi per pulirsela. Adesso, però, non sente nessun dolore. Sente solo quel terribile puzzo. E sente la paura.
Il silenzio nella strada le fa uno strano effetto: è peggio che il caos nello stanzone. Non ci sono voci note a cui aggrapparsi, non ci sono le mani di suo fratello a tormentarla.

Non può restarsene allo scoperto ancora per molto. In realtà non dovrebbe proprio essere lì, ma non ne poteva più di restarsene appollaiato su un tetto, gomito a gomito con quel tipo che continuava a fumare e a sputare a terra. Non si sono scambiati una parola in cinque ore. Non hanno niente da dirsi. Le parole non servirebbero ad alleggerire l'atmosfera, né a rendere più sopportabile il caldo.
Si è alzato improvvisamente. Il suo compagno ha fatto un salto e si è attaccato alla manica del giaccone trascinandolo di nuovo giù.
-Sei pazzo? Vuoi farci ammazzare?- gli ha ringhiato addosso. Il suo fiato sa di fumo.
Lui si è liberato dalla stretta, si è rimesso in piedi ed è sceso in strada.
Lì, ha trovato la bambina, immobile sull'altro lato del marciapiede, che lo fissa.

La gente scappa.
Si lasciano dietro scie di vestiti scarpe sedie tavoli armadi ninnoli bambole piatti bicchieri posate.
Non si voltano.
Vanno solo avanti. Se si voltano sanno che non se ne andranno più.
Li ho visti fermi sulla riva con lo sguardo fisso in avanti.
Non ho mai visto un sorriso su quelle facce.
Mai.


L'odore non è la cosa peggiore. Nemmeno l'uomo che è sbucato all'improvviso lo è. La cosa peggiore è il silenzio. Il suo respiro le arriva all'orecchio come quello di cento persone ed è certa che l'uomo al di là del marciapiede possa sentire il battito del suo cuore. Il freddo non passa. Stringe le labbra e le mandibole le fanno male per lo sforzo di impedire ai denti di battere.
La mamma avrebbe potuto scaldarla. Persino suo fratello avrebbe potuto farlo. Ma non ci sono né l'una né l'altro. Non c'è proprio nessuno.
A parte l'uomo immobile dall'altra parte del marciapiede.

Lo hanno addestrato per combattere. Gli hanno detto che la sua terra deve essere difesa, perché cos'è un uomo senza la propria terra? Niente. Cos'è un uomo senza un posto dove costruire la propria casa, far crescere la famiglia, dove lavorare, riconoscersi, prosperare? Niente. E se qualcuno vuole portare via la tua terra, tu cosa fai?
L'uomo stringe la mano e sente il palmo umido. La terra. La terra ha accolto sua figlia. Che vale combattere ora? Combattere per poter seppellire i propri morti?
Coglie lo sguardo della bambina correre sul mucchio di macerie poco distante da lei. La vede sussultare leggermente e irrigidirsi. Si passa la mano umida contro i pantaloni, lungo la coscia.
Il fucile gli pesa nell'altra mano.

Mamma le ha raccontato che esistono degli omini piccoli piccoli che vivono sotto terra e che colorano i fiori e che aiutano i bambini quando hanno paura. Le piacerebbe vederne uno in questo momento. Suo fratello le ha detto che sono tutte balle. Mamma le ha detto che stanno preparandosi per un viaggio. -devono attraversare il mare. "Hai paura?" le ha chiesto mamma. "No", lei non ha paura del mare.
Fa saettare gli occhi a destra e a sinistra. Non ci sono fiori in quella strada. Solo alcuni alberi neri e senza rami, accartocciati su se stessi. Ed erba. Erba gialla e nera, sporca, rada. Un gran brutto spettacolo.
Vuole andarsene.
Guarda l'uomo e lo vede prendere la mira.

Il silenzio che segue il frastuono.
Gli occhi delle persone che inseguono il profilo di qualcosa che non esiste più.
I corpi stesi a terra di chi è vestito di silenzio e non si rialzerà più.
Ne ho visti tanti di corpi senza vita, affranti e spezzati.
Le prime volte mi convincevo che stessero tutti dormendo. Mi allontanavo, pensando che appena avessi voltato loro le spalle si sarebbero svegliati e se ne sarebbero andati via.
Accadeva un anno fa.
Eravamo bambini, allora.
Da allora è come se fossero trascorsi non anni, ma ere geologiche.
Non siamo più bambini.
Nessuno più lo è.

Il colpo parte dall'alto. Il proiettile taglia l'aria con la precisione di un bisturi e si conficca nella testa della bambina che viene scagliata contro il muro sbrecciato alle sue spalle. Le gambe saltano per alcuni istanti come fossero percorse da una scarica elettrica, poi si immobilizzano. Le labbra si schiudono e rilasciano un'ultima boccata d'aria. Le mani si aprono, palmi alle nuvole.
L'uomo resta fermo dall'altra parte della strada. Abbassa il fucile e ringrazia dio perché qualcuno ha sparato prima di lui.

Un lunga fila di luci.
Luci che bucano la notte.
Nero sopra e nero sotto, e là in fondo, luci.
Da questa collina vedo tutte quelle luci, e nient'altro.
Non indovino il profilo della costa, ma so che è là.
Qua la collina, là il mondo.
Sento l'odore del mare misto a quello dell'erba.
Sento il silenzio rompersi ogni tanto.
Una macchina lontana, delle voci, il rumore sommesso delle onde.
La mia vita qui sono questi odori e questi rumori.
Sono quelle luci in lontananza, sogni sospesi nel buio, francobolli su di una cartolina che non spedirò mai.
Perdo la nitidezza dei pensieri e mi coagulo attorno a un grumo di ricordi, qualcosa di frastagliato e dolente, qualcosa che cola dalle mani e che assomiglia tanto - troppo- a sangue versato.
Io sono qui, su questa collina e ho una città alle spalle, grigia di case basse e strade sconnesse, una città di cui conosco ogni cosa per averci corso in mezzo, per aver sperato che gli aerei la bombardassero, la riducessero in briciole e mi liberassero.
Dalla colpa di odiarla.
Dal peso di dover restare.
Sono qui, su questa collina, ho una città alle spalle disseminata di corpi e un'illusione di luci davanti.












LUNA DONNA